La prima giornata è stata dedicata quasi interamente alle relazioni delle situazioni partecipanti, che hanno illustrato con ampiezza come il sistema delle Grandi Opere e dei Grandi Eventi si articola concretamente sui singoli territori. E’ impossibile sintetizzare questa ricca panoramica, per cui rimandiamo all’ascolto della registrazione dei lavori, che metteremo a breve in rete postando i link sulla lista di Abitare nella Crisi; ci scusiamo anticipatamente per i limiti all’ascolto derivanti dalla non sempre sufficiente qualità dell’audio e dal problematico coordinamento con i supporti in Powerpoint (per alcuni interventi), impegnandoci ad organizzare quanto prima una organica pubblicazione online dei materiali. Segnaliamo, tra gli interventi di critica più generale, quelli di Edoardo Salzano e Paolo Berdini, dove viene sottolineata la rottura irrecuperabile del patto sociale, il logoramento dei vecchi strumenti urbanistici, l’avanzare immobiliarista, la necessità di sperimentare nuovi attori e forme di conflitto per riappropriarsi della sovranità del suolo. Tra gli interventi di documentazione sulle situazioni territoriali un ruolo particolare assume il caso del poligono militare di Quirra, in Sardegna, sia per il suo devastante quanto poco osciuto impatto ambientale, sanitario e sociale, sia per l’intreccio tra interessi economici e politico-militari. I lavori della seconda giornata sono proceduti attraverso una discussione con interventi liberi, allo scopo di sintetizzare le questioni emerse dalle relazioni e formulare proposte per il successivo lavoro politico. L’ampiezza delle questioni affrontate ha reso estremamente problematica l’individuazione di sintesi e proposte operative. La positività dell’iniziativa è stata però riscontrata da tutti i partecipanti, che hanno convenuto nella necessità di proseguire il percorso avviato, individuando a tal fine alcuni riferimenti concettuali e tappe organizzative.
Gli interventi territoriali analizzati (Grandi Opere, Grandi Eventi, Grandi Progetti) soggiacciono alla medesima esigenza del Capitale di superare la propria crisi strutturale mettendo a profitto settori sempre più ampi della vita sociale e naturale; tra questi rientrano i beni comuni, nei quali è compreso il territorio. Questa logica, anche quando non mira a valorizzare direttamente il territorio che ospita l’intervento bensì a sfruttarlo degradandone i valori di uso e/o di scambio (è il caso di impianti militari, discariche, inceneritori, centrali energetiche, etc.), è finalizzata a realizzare profitti garantiti dalle risorse pubbliche, generando elevati costi sociali e ambientali.
Il caso del ciclo integrato rifiuti in Campania è leggibile con le stesse categorie interpretative delle Grandi Opere, integrate da importanti peculiaretà. L’analisi politica della crisi rifiuti campana ha infatti confermato il significato nazionale di questa vertenza, terreno di sperimentazione per specifiche forme di gestione del territorio (militarizzazione, segretezza sugli impianti, deroghe alla legislazione ordinaria, sospensione dei diritti, introduzione di nuove figure di reato, uso di strutture straordinarie come i commissarati e la protezione civile, etc.), che travalicano il settore rifiuti e sono ormai in corso di applicazione sull’intero contesto nazionale (dal terremoto de l’Aquila al nuovo piano nucleare).Questi processi hanno determinato una frattura irricomponibile delle vecchie forme del patto sociale, rendendo irrilevanti o deleterie soluzioni tese a proporre la riattivazione del ciclo economico nelle forme tradizionali e nuove forme di governance “più equa” tramite operazioni politicistiche di stampo più o meno elettorale.
Ne deriva, sul piano dell’organizzazione delle lotte, l’esigenza di generalizzare le singole vertenze in un quadro di critica netta all’attuale modello di sviluppo, articolando sul piano locale e nazionale percorsi dotati di continuità ed adeguato respiro, improntati ad una netta autonomia dalle istituzioni: quest’ultimo punto, generalmente accettato, è stato sottolineato dal compagno di Cagliari che, rimarcando come l’esproprio decisionale dei territori costituisca il fattore unificante dei singoli casi analizzati e si inserisca nella più generale crisi della democrazia rappresentativa, ha sottolineato che l’autonoma crescita di coscienza di chi lotta rispetto ai possibili “mediatori” del conflitto (magistratura, stampa, sindacati, associazioni ambientaliste, chiesa) costituisce il fattore strategico che determina un salto di qualità alle lotte.
Proprio in rapporto all’organizzazione delle lotte, a partire dall’esperienza campana ma riscontrando una difficoltà comune alle altre situazioni, è emerso che l’esigenza di radicarsi nelle lotte reali e sui territori spinge spesso i movimenti a stagnare negli specifici ambiti vertenziali, senza riuscire a promuoverne l’auspicata generalizzazione; la conclusione, negativa o positiva, di una vertenza difficilmente riesce a sedimentare una struttura organizzativa non marginale e sviluppare ambiti di conflitto nuovi e partecipati. Ciò che le lotte seminano nella coscienza dei partecipanti (in termini di frattura col sistema istituzionale, spirito di ribellione, capacità analitiche ed organizzative), resta ancora un terreno da esplorare.
In tal senso, diversi interventi hanno posto il problema di analizzare i soggetti sociali presenti nelle lotte e quelli strategici da coinvolgere; una compagna di Roma ha sottolineato l’esigenza di esplorare i caratteri soggettivi dei giovani cresciuti senza il mito del posto fisso, nella prospettiva del precariato vissuto anche come capacità di gestire autonomamente il proprio lavoro; un compagno di Firenze ha espresso problematicamente la necessità di ripensare l’identità di classe, alla luce dei soggetti attivi nelle lotte e delle loro caratterizzazioni identitarie (citando come esempio la presenza attiva della borghesia nei comitati antiTAV, dato il carattere socialmente “trasversale” di buona parte delle lotte su questioni urbanistiche ed ambientali, ed il recupero di simboli come il tricolore o l’inno di Mameli in diverse manifestazioni antidiscarica) come anche dei caratteri generali della società italiana (es. la vasta diffusione della casa in proprietà), sottolineando la necessità di definire un sistema di alleanze in rapporto all’avversario ed il valore che le lotte hanno per creare la coscienza di un diverso modo di produzione sociale.
In relazione allo sciopero generale proclamato dalla Cgil, su cui era stata sollecitata una riflessione da parte dei compagni napoletani, i compagni di Roma ne hanno criticato il carattere socialmente limitato e l’uso antigovernativo ed elettorale a favore del PD, ribadendo l’esigenza di puntare su iniziative autonome, come lo sciopero precario. Su questo si è soffermato il compagno del NoExpo di Milano, suggerendo che lo sciopero della Cgil possa essere usato come tappa per costruire lo sciopero precario; il quale non è “sciopero dei precari” ma sciopero politico calibrato su una metropoli caratterizzata dalla produzione di fattori immateriali (flussi di denaro e merci, coscienza, rapporti sociali), laddove il blocco dei flussi di merci è meno recuperabile, da parte dell’organizzazione aziendale, rispetto alla produzione delle stesse. Più in generale c’è l’esigenza di progettare nuove forme di lotta a cui la gente partecipi, stante i limiti delle consuete pratiche dei comitati (cortei, azioni legali, etc.): seguendo l’esempio della contestazione all’ampliamento dell’aereoporto inglese di Heathrow, a Milano verrà organizzato questa estate un Biocampo sui terreni interessati dai progetti dell’Expo 2015.
Anche se in sede di convegno si è solo accennato a queso tema, è opinione dei compagni di Napoli che le riflessioni sul precariato e i caratteri sociali dei soggetti sociali potenzialmente antagonisti debbano essere approfondite e verificate in rapporto alle specificità dei territori meridionali (esigenza della cui promozione si fanno ovviamente carico).
In conclusione, appare convincente la proposta, avanzata dai compagni di Abitare nella Crisi, di costruire un percorso di iniziative impostate su un duplice asse di lavoro, che interreli due dimensioni strategiche del contrasto alla precarietà (recupero della sovranità del suolo e rivendicazione di reddito per tutti), capace di mettere in relazione le lotte per l’ambiente, la casa, il lavoro, il reddito, i diritti. I passaggi concreti di questo percorso saranno oggetto di confronto nella prossima riunione di Abitare nella Crisi; in questa sede si verificherà anche la proposta di partecipare alla manifestazione nazionale di Roma del 26 febbraio sull’acqua pubblica, costituendo uno spezzone comune dietro uno striscione che richiami l’unità delle lotte per l’acqua con quelle per la casa, l’ambiente, i beni comuni, etc.
E’ stata inoltre avanzata dai compagni napoletani la proposta di organizzare un’iniziativa nazionale centrata sulle questioni ambientali (gestione rifiuti, bonifiche, impianti energetici), anch’essa da verificare nei prossimi appuntamenti nazionali.
La proposta di sciopero precario sarà più ampliamente discussa nella prevista riunione di aprile degli Stati generali della Precarietà, a Roma.
Napoli, 18 marzo 2011
Assise Cittadina per Bagnoli_Rete Campana Salute e Ambiente